Quando si affrontano discorsi sulla perdita si tende a pensare esclusivamente alla morte, vorrei evidenziare che l’elaborazione del lutto comprende un ben più vasto campo di significati: un genitore che si separa, la perdita della propria casa, il trasferimento in un’altra città o semplicemente lo smarrimento del pelouche preferito .Tutti gli eventi che in qualche modo ci colgono impreparati hanno, come peculiarità, un particolare grado di traumaticità In generale, gli adulti tendono ad avere atteggiamenti di evitamento o di rifiuto di fronte a questi accadimenti. Poche sono le persone che dopo aver subito una perdita decidono di volerne affrontare l’impatto emotivo chiedendo sostegno a uno psicologo Molti, in effetti, cercano di convincersi di aver superato la sofferenza accantonando l’esperienza in un angolo buio della mente o sforzandosi di dimenticare in fretta. In base alla mia esperienza, questo tipo di atteggiamento radica ancora di più il lutto e lo rende subdolamente pervasivo nella quotidianità, trasformando, inesorabilmente, poco per volta la persona e il suo ambiente. In genere per prevenire problematiche dovute alla non elaborazione del lutto bisognerebbe non far passare più di due settimane prima di rivolgersi a uno specilista. Se malattia e morte sopraggiungono ai membri più stretti del gruppo familiare, gli adulti si elevano a censori nei confronti dei minori, nella convinzione che l’infanzia debba essere preservata a tutti i costi da tutte le fonti che elicitano dolore. In realtà, questo atteggiamento che stimola maggiormente la curiosità dei bambini porta ad ottenere il risultato opposto. Col tempo si è cominciato a comprendere che uno dei risultati più devastanti del tabù sul lutto consiste proprio nel lasciare solo il bambino di fronte all’angoscia da esso derivante. Gli adulti, di fatto, sono molto distanti dai contenuti ideativi infantili riguardo questo argomento; in realtà, loro riescono ad essere più profondi e evoluti di quanto i grandi possano ipotizzare. Le errate convinzioni “dei grandi” li portano a sottovalutare le domande dei bambini , a fornire pochissime spiegazioni e, ancor peggio, a sviare il discorso lasciando dei vuoti che, invece, sarebbe opportuno colmare; ciò permetterebbe l’acquisizione graduale di cognizioni utili allo sviluppo di nuove consapevolezze. Malattia, atti cruenti, morte sono esperienze che fanno parte della vita di ogni giorno a tutti i livelli dell’esistenza, malgrado ciò, questi accadimenti non ci trovano mai abbastanza preparati, e il percepirli con un senso di ingiustizia, inevitabilità, impotenza, non predispone a considerarli meno portatori di dolore e paura. L’età infantile non è immune all’eterogenea portata emozionale conseguente a queste circostanze. La Anthony (1975) sostiene appunto che “Il pensiero della morte può determinare ansia nei bambini ad un’età molto tenera, senza che la loro conoscenza limitata li porti a misconoscere la vera natura del fenomeno”. Tempo e morte sono concetti strettamente interconnessi, interagiscono in un movimento armonico continuo, Wallon (1970) raccolse numerose antinomie di pensiero dovute alla difficoltà dei bambini di concepire il tempo come concetto scisso dalla propria esistenza. Secondo la Anthony, il bambino riesce a comprendere il significato della morte solo quando acquisisce i più elementari concetti temporali ed è così in grado di spiegare i fenomeni naturali, cioè non prima dei 3-4 anni. Anche il bambino molto piccolo rimane colpito da questa esperienza, dal momento in cui essa è legata a una vasta gamma di rappresentazioni dell’angoscia da separazione e di perdita causate dai dettagli percettivi legati a tale avvenimento. Giocoforza, non possono che diventare pregnanti sia nella sua esperienza cognitiva che nella sua esperienza affettiva. Pur apprendendo dal proprio contesto sociale le strategie per rispondere alle esigenze dell’ambiente esterno i fanciulli sono dotati, diversamente dagli adulti, di un’analisi qualitativa esclusiva dell’infanzia, che, personalmente, chiamo “allargata e poetica “; un deposito eterogeneo di potenzialità creative e sagge consapevolezze, capaci di stupire e disarmare gli adulti. Queste peculiarità li dispongono verso una maggiore reattività e a un senso minore di evento subìto, vissuto più come mediato e ragionato col “senso della vita”. Queste facoltà sono ulteriormente sviluppate se al loro bisogno di comprensione e di sostegno nella sofferenza ci sono adulti consapevoli che comprendono l’importanza di avere un dialogo aperto e sincero con loro. Secondo la Furman, se nell’ambiente familiare e scolastico i bambini crescono accanto a persone che li seguono nella comprensione di questi eventi, cominciano, sin dall’età di due anni, a sviluppare un concetto concreto della morte, imparano così a distinguere fra la separazione dovuta a un lutto, quindi irreversibile e definitiva, dalle separazioni momentanee. In base ad un’analisi accurata, le credenze che il bambino costruisce nel suo interno, dipendono dalla connessione fra i processi di assimilazione e accomodamento che egli intrattiene con i genitori e, la relazione tra questi processi complementari e la sua visione personale della vita. Altre consapevolezze giungono per tappe cognitive, l’una riguarda la distinzione tra il morire e il dormire che non sopraggiunge prima dei 4-5 anni, l’altra è l’universalità della morte. Al fine di sostenere i bambini nell’elaborazione di un lutto è necessaria una ristrutturazione emozionale da parte del genitore che sta vivendo lo stesso trauma, in modo da essere emozionalmente in sintonia col livello cognitivo e percettivo del fanciullo. Di fatto, il problema del lutto può essere un’esperienza traumatica nei primi anni di vita (4-6 anni), il fatto che sia derivante dalla paura della separazione la rende prodromica di conflitti interiori e di angoscia. Nei bambini di 8-9 anni potrebbe essere percepita come aggressione nel momento in cui il fatto è subito e non scelto, oppure, in entrambe i casi, potrebbero coesistere i due fattori percettivi. La perdita comporta un lavoro psichico faticoso e difficile per tutti, adulti e bambini. La qualità dell’impegno che si mette nell’elaborarla può renderla traumatizzante oppure, senza togliere significato al dolore, suscettibile di nuove consapevolezze.
Articolo di Romana Prostamo settembre 2014